L'elettore mimetizzato
SCOMPARSI.
Molti elettori che un anno fa avevano votato per il Pd: chissà
dove sono finiti. I sondaggi condotti dai maggiori istituti
demoscopici, infatti, oggi stimano il voto al Pd fra il 22 e il 24%.
Alcuni anche di meno. L'IdV di Antonio di Pietro, parallelamente, ha
pressoché raddoppiato i consensi e si attesta intorno al 9%.
Le diverse formazioni riunite un anno fa nella Sinistra Arcobaleno,
infine, hanno risalito la china, ma di poco. Nell'insieme, queste
stime di voto non danno risposta al quesito. Anzi: lo rilanciano.
Dove sono finiti gli elettori che avevano votato per il Pd nel 2008?
Rispetto ad allora mancano circa 10 punti percentuali. L'IdV
ne ha recuperato qualcuno. Ma non più di 2 o 3, secondo i
flussi rilevati dai sondaggi. E gli altri 7-8? Quasi 3 milioni di
elettori: svaniti. O meglio: invisibili a coloro che fanno sondaggi.
Perché si nascondono. Non rispondono o si dichiarano
astensionisti. Oppure, ancora, non dicono per chi voterebbero: perché
non lo sanno.
Certamente, non si tratta di una novità.
L'incertezza è una condizione normale, per gli elettori.
D'altronde, è da tempo che non si vota più per atto di
fede. Inoltre, non si è ancora in campagna elettorale. E di
fronte non ci sono elezioni politiche, ma altre consultazioni, nelle
quali gli elettori si sentono più liberi dalle appartenenze.
Come dimenticare, d'altronde, che il centrodestra ha perduto tutte le
elezioni successive al 2001? Amministrative, europee, regionali. Fino
al 2006: tutte. Forza Italia, in particolare.
Nei mesi
seguenti alle regionali del 2005 i sondaggi la stimavano sotto il
20%. Dieci punti in meno rispetto al 2001. Come il Pd oggi. Ridotto
al rango del Pds nel 1994. Sappiamo tutti cosa sia successo in
seguito. Parte degli elettori di FI sono rientrati a casa, trascinati
dal loro leader. Mobilitati dal richiamo anticomunista. Dalla paura
del ritorno di Prodi, Visco e D'Alema.
Se ne
potrebbe desumere che qualcosa del genere possa avvenire, in futuro,
anche nella base elettorale del Pd. Ma ne dubitiamo. Non solo perché
un richiamo simmetrico, in nome dell'antiberlusconismo, oggi è
già largamente espresso - urlato - da altri attori politici.
Primo fra tutti: Di Pietro. Non solo perché le elezioni
europee - come abbiamo detto - non sono percepite come una sfida
decisiva. Visto che sono, appunto, europee. Ma perché la
defezione dichiarata nei confronti del Pd ha un significato diverso
da quella che colpiva il centrodestra negli anni del precedente
governo Berlusconi.
Allora, gli astenuti reali (rilevati alle
elezioni) e potenziali (stimati dai sondaggi), tra gli elettori di
FI, erano semplicemente "delusi". Insoddisfatti
dell'andamento dell'economia e dell'azione del governo. Il quale
aveva alimentato troppe promesse in campagna elettorale. Difficili da
mantenere anche in tempi di crescita globale. Mentre, dopo l'11
settembre del 2001, quindi subito dopo l'insediamento, era esplosa
una crisi epocale, destinata in seguito ad aggravarsi. Si trattava,
perlopiù, di elettori senza passione. Moderati oppure estranei
alla politica. Non antipolitici. Semplicemente impolitici. Non era
impossibile risvegliarli. Spingerli ad uscire di nuovo allo scoperto.
Il caso degli elettori del Pd è molto diverso, come si ricava
da alcuni sondaggi recenti di Demos.
Coloro che, dopo averlo
votato un anno fa, oggi si dicono astensionisti, agnostici o molto
incerti (circa il 30% della base PD) appaiono elettori consapevoli,
istruiti, politicamente coinvolti. Rispetto agli elettori fedeli del
PD, si collocano più a sinistra. Si riconoscono nei valori
della Costituzione. Sono laici e tolleranti. Ça va sans dire.
Oggi nutrono una sfiducia totale nei confronti della politica e dei
partiti. Anzitutto verso il Pd, per cui hanno votato. Per questo, non
si sentono traditori, ma semmai traditi. Perché hanno creduto
molto in questo soggetto politico. Per cui hanno votato: alle
elezioni e alle primarie. E oggi non riescono a guardare altrove, a
cercare alternative.
La loro sfiducia, d'altronde, si rivolge
oltre il partito di riferimento. Anzi: oltre i partiti. Oltre la
politica. Si allarga al resto della società. Agli altri
cittadini. Con-cittadini. Rispetto ai quali, più che delusi,
si sentono estranei. Gli ex-democratici. Guardano insofferenti gli
italiani che votano per Berlusconi e per Bossi. Quelli che approvano
le ronde e vorrebbero che gli immigrati se ne tornassero tutti a casa
loro. La sera. Dopo aver lavorato il resto del giorno nei nostri
cantieri. Gli ex-democratici. Provano fastidio - neppure indignazione
- per gli italiani. Che preferiscono il maggiordomo di Berlusconi a
Soru. Che guardano Amici e il Festival di Sanremo, il Grande
Fratello. Che non si indignano per le interferenze della Chiesa. Né
per gli interventi del governo sulla vicenda di Eluana Englaro.
Non
sono semplicemente delusi e insoddisfatti, come gli azzurri che, per
qualche anno, si allontanarono da Berlusconi. Ma risposero al suo
richiamo nel momento della sfida finale. Questi ex-democratici.
Vivono da "esuli" nel loro stesso paese. Lo guardano con
distacco. Anzi, non lo guardano nemmeno. Per soffrire di meno, per
sopire il disgusto: si sono creati un mondo parallelo. Non leggono
quasi più i giornali. In tivù evitano i programmi di
approfondimento politico, ma anche i tiggì (tutti di regime).
Meglio, semmai, le inchieste di denuncia, i programmi di satira. Che
ne rafforzano i sentimenti: il disprezzo e l'indignazione.
Questa
raffigurazione, un po' caricata (ma non troppo), potrebbe essere
estesa a molti altri elettori di sinistra (cosiddetta "radicale").
Scomparsi anch'essi nel 2008 (2 milioni e mezzo in meno del 2006: chi
li ha visti?). Non sarà facile recuperarli. Per Franceschini,
Bersani, D'Alema, Letta. Né per Ferrero, Vendola, lo stesso Di
Pietro. Perché non si tratta di risvegliare gli indifferenti o
di scuotere i delusi. Ma di restituire fiducia nella politica e negli
altri. Di far tornare gli esuli. Che vivono da stranieri nella loro
stessa patria.
La Repubblica (1 marzo 2009)