Come inventammo le razze
Pietro Greco
La parola razza
è tornata di moda, nota il genetista Guido Barbujani. E con
essa l´idea di altro. Di diverso da me. Anzi, di «diverso
da noi». Dove il noi sta per le persone che normalmente
frequento, che la pensano e si comportano come me. Che sento vicine a
me.
Ma esistono davvero le razze umane? Esistono davvero gli
«altri diversi da noi» nell´ambito della comune
specie sapiens? Un bianco è biologicamente diverso da
un nero? E se c´è una qualche differenza, dove ha
origine? È a queste domande che risponde, con grande
chiarezza, lo stesso Guido Barbujani, in un libro, L´invenzione
delle razze,appena uscito per i tipi della Bompiani.
E già
il titolo contiene, netta, la risposta. Il concetto di razza riferito
agli uomini è una mera invenzione. Non solo e non tanto perché
sfugge da sempre a ogni tentativo di definizione rigorosa. Ma anche e
soprattutto perché le scienze biologiche hanno dimostrato che
«siamo tutti differenti, ma tutti parenti». In senso
letterale. Ogni uomo è diverso da un altro. Ma ognuno
condivide con ciascun altro almeno un antenato comune vissuto non più
di tremila anni fa: siamo un´unica famiglia, sia pure
allargata.
Le domande sull´esistenza delle razze umane,
dicevamo, non sono nuove. E non sono neppure socialmente neutre. Sono
anzi tornate di attualità con un certo clamore, dopo che la
questione sembrava essere stata definitivamente risolta qualche anno
fa. Tanto che alcuni tentano di giustificare politiche di
discriminazione sociale sulla base di presunte e ineliminabili
differenze razziali. Del tipo: i ricchi sono ricchi perché
sono (geneticamente) migliori. E i bianchi sono più ricchi dei
neri perché sono (geneticamente) superiori. Il libro di Guido
Barbujani giunge più opportuno che mai a sbarazzare il campo
da ogni equivoco: non c´è alcun fondamento scientifico
al concetto di razza applicato all´uomo, all´idea di
«altro da noi», alle teorie e alle prassi
discriminatorie.
In realtà, quella di razza è
una nozione utilizzata in biologia per classificare insiemi di
individui di una medesima specie che presentano caratteristiche
comuni e distintive. Tipiche sono le razze canine: ciascuno di noi è
in grado di distinguere un cane di razza bassotta da un pastore
tedesco. Questa nostra capacità di distinguere cani di razza
diversa ha dei fondamenti biologici. Benché siano interfecondi
e appartengano, quindi, alla medesima specie, un bassotto è
geneticamente «altro» da un pastore tedesco. Nel senso
che la variabilità genetica interna all´insieme dei cani
bassotto è inferiore alla variabilità genetica media
che esiste tra l´insieme dei bassotti e l´insieme dei
pastori tedeschi. La corretta domanda, dunque, è: esistono
razze anche all´interno della specie umana?
La domanda
come abbiamo detto è stata posta già nell´antichità,
ottenendo una serie variegata di risposte. Occorre però
attendere il 1859 e la pubblicazione dell´Origine delle
specie perché Charles Darwin metta alcuni punti fermi nel
dibattito.
Il primo è che le specie viventi, compresa
quella umana, non sono entità statiche, ma si modificano nel
tempo ed evolvono adattandosi ai cambiamenti dell´ambiente. Non
ci sono specie o razze migliori in assoluto, ma solo specie e razze
più o meno adatte a sopravvivere in un ambiente che
cambia.
Un secondo e più diretto punto fermo Charles
Darwin lo pone, tuttavia, dodici anni dopo, nel 1871, quando pubblica
L´origine dell´uomo. Darwin sostiene la completa
interfertilità tra le presunte razze umane, perché
ciascuna «confluisce gradualmente nell´altra».
L´uomo forma una sola e unica specie, perché quelle che
vengono chiamate razze non sono abbastanza distinte da abitare una
medesima regione senza fondersi. Anzi, queste presunte razze sono
così simili le une alle altre, che non esistono due autori che
abbiano ottenuto, cercando di classificarle in modo obiettivo, il
medesimo risultato. Cosicché le differenze tra queste presunte
razze, benché talvolta appaiano vistose, sono del tutto
irrilevanti. Mentre, al contrario, vi è una grande uniformità
nelle caratteristiche davvero importanti, comprese quelle mentali:
malgrado le apparenti differenze che gli africani o gli indigeni
d´Amazzonia mostrano rispetto agli europei, Darwin si dice
colpito ogni volta che rivela persino dai tratti più piccoli
del carattere «come le loro menti siano simili alle
nostre».
La variabilità tra gli uomini, tuttavia,
esiste, sostiene Charles Darwin. Anzi, è una caratteristica
spiccata della specie. È una variabilità individuale.
Ed è probabilmente il frutto di una selezione sessuale. Una
selezione che il teorico dell´evoluzione biologica ritiene
distinta dalla naturale.
Quello di Darwin è un
autentico e autorevole manifesto antirazziale. Il primo contributo
chiaro che il pensiero scientifico propone contro le discriminazioni
tra le razze. Queste, sostiene Darwin, sostanzialmente non esistono.
Un ulteriore contributo all´idea che l´«altro
da noi» non esiste, viene data settant´anni dopo
dall´antropologo americano Franz Boas. Che nel 1940 pubblica
uno studio sui caratteri antropometrici e morfologici dei figli degli
immigrati negli Stati Uniti d´America in rapporto a quelli dei
parenti rimasti nella madre patria. Benché con qualche
superficialità di tipo statistico, Boas dimostra che gli
effetti ambientali a breve termine sono importantissimi su parametri
come la statura e che non ci sono sostanziale differenze tra
immigrati provenienti da regioni diverse.
Non è
l´antropometria, ma sono la genetica, l´antropologia e in
particolare l´antropologia molecolare a porre la parola fine al
dibattito sulle razze. Lo studio della caratteristiche genetiche tra
gli uomini che vivono oggi sul pianeta e tra gli uomini che hanno
vissuto sul pianeta nel corso dei millenni ha dimostrato che la
specie umana è una sola, che ha avuto una medesima origine in
Africa, circa 150.000 anni fa, e che al suo interno non ci sono
ragioni obiettive per individuare una tassonomia di profili genetici
ben definiti. Per tre motivi, molto ben chiariti già a partire
dal 1970 dal genetista Richard Lewontin, poi dagli studi sistematici
dell´italiano Luigi Luca Cavalli-Sforza e poi da una serie di
studi più recenti cui lo stesso Barbujani ha dato contributi
significativi.
1. Se si considerano singoli caratteri, o
meglio singoli geni, essi sono sempre presenti in quasi tutte le
popolazioni umane, anche se con frequenza diversa. In pratica, per la
frequenza dei singoli geni, tutte le popolazioni umane si
sovrappongono. E nessun gene può essere utilizzato per
distinguere una popolazione umana dall´altra. Le popolazioni
umane sono geneticamente molto simili le une alle altre. Tutte, in
ogni caso, discendono da una medesima tribù vissuta in Africa
circa 150.000 anni fa e diffusasi nei restanti quattro continenti a
partire da 100.000 anni fa. Siamo tutti migranti africani. Veniamo
tutti da lì. Cento millenni sono pochi per determinare
significative divergenze genetiche tra gruppi di migranti. In ogni
caso, qualsiasi accenno di divergenza tra popolazioni diverse sarebbe
stato presto interrotto, perché in questi cento millenni tutte
le popolazioni umane sono state in contatto tra di loro. Non c´è
stata la possibilità di formare razze diverse.
2. C´è
invece una grande variabilità genetica tra gli individui, tra
gli uomini. Nessuno di noi porta i medesimi geni di un altro uomo.
Tuttavia la gran parte di questa variabilità è
anteriore alla formazione delle diverse popolazioni ed è
probabilmente persino anteriore alla formazione della specie.
3.La
variabilità genetica all´interno delle singole
popolazioni, per esempio tra gli europei o gli italiani, è
elevatissima. Mentre le differenze genetiche tra i tipi mediani delle
diverse popolazioni, tra gli italiani e gli etiopi, per esempio, sono
modeste e pressocché irrilevanti rispetto alla variabilità
interna alle singole popolazioni. C´è maggiore
differenza tra due italiani posti all´estremo di un profilo
genetico, che non tra un italiano e un etiope posti al centro dei
profili delle rispettive popolazioni. Le differenze tra le varie
popolazioni della Terra sono continuamente annullate dalle migrazioni
e dalla fusione tra individui che abitano le medesime regioni. Le
differenze vistose che pure ravvisiamo tra le diverse popolazioni,
per esempio il colore della pelle, sono marginali. Effetto di lungo
periodo dell´adattamento al clima e, probabilmente, della
selezione sessuale.
Richard Lewontin, in particolare, già
nel 1970 aveva misurato la variabilità di 17 diversi geni in
sette presunte razze (caucasici, africani sub-sahariani, mongoloidi,
aborigeni dell´Asia del sudest, amerindi, oceanici, aborigeni
australiani), trovando che l´85% della variabilità
genetica umana è presente all´interno delle singole
popolazioni, che l´8% è presente tra popolazioni diverse
di diverse razze (per esempio italiani e tedeschi tra i caucasici) e
che, infine, solo il 7% della variabilità totale è
presente tra le varie razze. Dopo 35 anni di studi, su un numero di
geni sempre maggiore e con tecniche di analisi sempre più
sofisticate, l´attribuzione della variabilità genetica
tra 16 diverse popolazioni dei cinque continenti non è
sostanzialmente mutata: l´85% è già presente
nelle singole popolazioni, il 5% tra popolazioni del medesimo
continente e il 10% si verifica tra popolazioni di diversi
continenti.
Non c´è dubbio, sostiene Barbujani:
«più si studiano nuovi geni, più si fa esile la
speranza di trovare chiari confini fra gruppi umani a cui possiamo
dare il nome di razze».
Dopo aver letto il libro di
Guido Barbujani siamo in grado di rispondere a tutte le domande che
ci siamo posti all´inizio.
Domanda: esistono razze
umane? Risposta: no, le razze umane sono una mera invenzione.
Domanda: esistono «altri diversi da noi»
nell´ambito della comune specie umana? Risposta: ciascuno di
noi è diverso da ogni altro, nessuno è «diverso
da noi», qualsiasi sia il gruppo di umani che intendiamo con
noi.
Domanda: un bianco è geneticamente diverso da un
nero? Risposta: no. La massima diversità tra i bianchi e la
massima diversità tra i neri è di gran lunga maggiore
di quella media tra un bianco e un nero.
Domanda: e se c´è
una qualche differenza, dove ha origine? Risposta: le differenze che
ravvisiamo o sono geneticamente irrilevanti o sono una costruzione
della nostra mente. L´«altro da noi» semplicemente
non esiste.
L’Unità
Dicembre 06