Gentile
regista,
mi chiamo Didala Ghilarducci. Sono una vecchia
partigiana. Mio marito, Chittò, fu ucciso dai nazisti sui
monti versiliesi alcune settimane dopo la strage di Sant’Anna
di Stazzema, in quel terribile agosto del 1944.
Mi
sono risolta a scriverle perché quello che leggo sui giornali
a proposito del film che lei sta girando mi fa sentire il cuore
pesante come un macigno.
Pare
infatti che nel film si avvalori la falsa tesi che la strage venga
compiuta a causa della ricerca di partigiani presenti in paese. È
una falsa tesi, che i detrattori della Resistenza hanno sempre
sostenuto per dare ai partigiani la colpa di quella strage.
Tutte
queste voci che si rincorrono sul contenuto delle scene girate a
Sant’Anna, se possono poco turbare lei, danno agli uomini ed
alle donne della Resistenza italiana una dolorosa inquietudine.
So
che lei è un grande regista, so che nei sui film è
riuscito sempre a raccontare drammi, dolori ed oppressioni che ci
hanno emozionato ed hanno fatto crescere la coscienza civile anche
qui in Europa.
Di
questo soprattutto le sono grata.
Ho
lottato una vita per la democrazia, i diritti civili e la libertà
che non posso non trovarmi accanto a chi combatte e denuncia
ingiustizie e sopraffazioni.
Proprio per questo vorrei essere
altrettanto brava da poterle non solo spiegare, ma farle sentire in
qualche modo, perché ogni finzione, ogni aggiustamento di
quanto avvenuto a Sant’Anna di Stazzema mi pare, ci pare,
inaccettabile.
Quando
le persone, una comunità, hanno vissuto un lutto così
profondo e traumatico, comprenderà che conservino sul tema una
sensibilità esasperata dal dolore che brucia ancora la carne a
distanza di sessant’anni.
Nel raccontare la sua storia,
una storia importante non solo per il suo Paese, lei ha scelto di
fermarsi su quella piccola piazza davanti alla chiesa, a Sant’Anna.
Una
piazza che io, come altri, ho visto nel suo orrore reale ed
inenarrabile nel ‘44.
Il
vento può aver portato tra i boschi e verso il mare la cenere
di quel rogo, ma l’angoscia, il pianto e il sangue restano
aggrumati là e resteranno là nel tempo e nelle nostre
coscienze di uomini e donne.
Se
lei, gentile regista, si soffermerà in questo pensiero allora
capirà come non sia possibile in quella piazza raccontare
un’altra morte.
Non
lo possiamo fare per le vittime, non lo possiamo fare per quei
ragazzi e quelle ragazze della Resistenza rimasti sui monti insieme
con loro a ricordarci per sempre l’orrore della guerra e il
prezzo altissimo della libertà.
Se
togliamo loro la storia, allora li priviamo del senso della loro
morte. E questo non è possibile in quella piazza. In un’altra
ricostruita altrove, ma non lì.
Non riesco ad
immaginare che per raccontare una storia di diritti e di persone si
finisca per sottrarre la propria storia ad altre vittime.
Ecco,
gentile regista, le ho aperto il cuore nella speranza che in qualche
modo da lei possa giungere una risposta che ci faccia comprendere che
il senso del faticoso cammino di impegno civile, di riconciliazione
che come comunità e persone abbiamo ricercato e percorso in
questi sessant’anni, non sarà disperso.
*Partigiana,
segretaria Anpi di Viareggio
Da:
La Stampa