Dove crescono i naziskin
Claudio Lazzaro
Ci
sono casi in cui uno preferirebbe non aver visto giusto. Quando ho
iniziato le riprese di Nazirock capivo di stare su qualcosa di
caldo. Proprio per questo avevo deciso di occuparmene, ma non
immaginavo che la violenza neofascista si sarebbe sviluppata fino a
questo punto.
Perché dev’essere chiaro, la
tragedia di Verona è solo un aspetto, divenuto mediaticamente
visibile, della serie interminabile di violenze che hanno trovato
spazio sulle pagine de l’Unità e di altri
giornali di sinistra.
E che invece sono state ignorate da
buona parte della stampa e della televisione. Come se raccontare la
violenza nazifascista corrispondesse a una presa di posizione
politica e non semplicemente a un dovere di cronaca.
Come se
l’antifascismo non fosse più patrimonio di tutti e
valore fondante della Repubblica italiana, ma soltanto espediente
retorico della sinistra per attaccare la destra.
Detto questo,
vediamo perché il fenomeno è in crescita e perché
il Veneto è un elemento importante del quadro in cui si
sviluppa. Partiamo da un collegamento preciso: a Verona è
molto seguito dai giovani il Veneto Fronte Skinheads, un movimento
neofascista il cui fondatore, Piero Puschiavo, è l’attuale
coordinatore regionale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore. Il
leader della Fiamma, Luca Romagnoli, si vede all’inizio del mio
documentario. Sta sul palco, accanto a Berlusconi, a ricevere il
plauso delle folle oceaniche. È il 2 dicembre 2006, siamo a
Roma, è la famosa manifestazione dei due milioni. Berlusconi
stringe la mano a Romagnoli e accarezza la bandiera della Fiamma
Tricolore. Un passo indietro, andiamo in rete a scoprire chi sono gli
ispiratori del Veneto Fronte Skinheads. Tra i padri spirituali figura
Jan Stuart Donaldson, che amava citare Adolf Hitler: «Di lui
ammiro tutto», diceva, «tranne una cosa: avere
perso».
In questi collegamenti, in questo filo nero che
parte da un movimento neonazi veneto e arriva fino alla politica
istituzionale e di governo, si trova una delle spiegazioni della
violenza nera che a Verona ha fatto una delle sue vittime.
Chi
si sente sdoganato e in qualche modo protetto dalle istituzioni tende
a venire allo scoperto, a riappropriarsi degli spazi, a diventare
aggressivo. Proprio quello che stanno facendo i “ragazzi dal
cuore nero”, reclutati allo stadio e indottrinati dai gruppi
della destra radicale.
Naturalmente ci sono altre spiegazioni.
Spesso il disagio giovanile si esprime nella guerra per bande, nella
difesa del territorio, nell’attacco ai diversi. Sono
comportamenti diffusi in tutto il mondo. Altrove le bande possono
avere una connotazione etnica, in alcuni casi la connotazione può
essere estetica (la scelta di un look, di una divisa). A Verona
abbiamo visto in azione le bande d'ispirazione nazifascista. Nel mio
documentario questi giovani, ragazzi che potrebbero ficcarsi in
tragedie come quella di Verona, hanno un volto, parlano, dicono
quello che sanno e pensano. Chi sono? Nella maggior parte dei casi
ragazzi impreparati. La scuola non ha dato loro gli strumenti
culturali: quel minimo di conoscenza del nostro passato che avrebbe
potuto fornire gli anticorpi, renderli immuni alle ideologie di morte
e distruzione che ogni tanto rispuntano dalla pattumiera della
storia.
Vedi un ragazzo, con occhi non cattivi, che si è
tatuato Mussolini sul polpaccio e non crede alla strage degli ebrei:
«I numeri li hanno alzati. Al massimo ne avranno ammazzati un
milione».
Chi te lo ha detto? «L’ho letto su
un sito». Quale sito? «Non so. Un sito».
Poi
c’è il problema delle regole, che non vengono
rispettate. Nel film c’è un momento illuminante, a
questo proposito. Al raduno di Forza Nuova prende la parola Hudo
Voigt, leader del partito di estrema destra tedesco NPD. Subito il
conduttore della manifestazione, Emanuele Tesauro (cantante degli
Hobbit e quadro di Forza Nuova) si mette in ansia: «Mi
raccomando», ripete al microfono, «nessuno deve fare
saluti fascisti, perché in Germania è proibito. Se
vedono la foto di Voight accanto a un saluto romano quando torna lo
arrestano».
Il pubblico delle teste rasate e dei vecchi
nostalgici smette di inneggiare a braccio teso, poi appena Hodo
Voight ha terminato il suo intervento, di nuovo alla grande:
svastiche tatuate sul petto nudo, saluti fascisti, un grande
striscione che viene aperto e sbandierato. La scritta, in caratteri
cubitali: «PIU’ NAZIFASCISMO».
Questo
vediamo nel film. Questo vedremo nelle strade. Ma nessuno ne ha
colpa. Nessuno è responsabile. Neppure i ragazzi che hanno
aperto e sbandierato quello striscione. Alle mie contestazioni hanno
risposto. «Non è niente. È solo una goliardata».
Pubblicato
il: 06.05.08
La politica della violenza
Nicola Tranfaglia
Tornando
a Roma dal Veneto dopo una lunga campagna elettorale, avevo alcuni
motivi di inquietudine che, purtroppo, sono diventati chiari nei
giorni scorsi di fronte all’ignobile pestaggio in cui una banda
di neonazisti veneti ha ucciso il giovane Nicola Tomaselli, colpevole
soltanto di non appartenere al mondo che i picchiatori volevano
rappresentare.
Nelle città del Nord Est che percorrevo
ogni giorno e ogni sera, da Padova a Vicenza, da Rovigo a Verona, ma,
soprattutto in questa ultima città, sentivo un’atmosfera
cupa.
L’atmosfera di cittadelle assediate dagli
stranieri che incontravamo nel centro e soprattutto nelle periferie,
intenti ai loro lavori. Sentivo soprattutto una diffusa ostilità
o indifferenza che non esprimeva nulla di buono da parte delle
comunità o di parte di esse.
Quando mi dissero che non
sarei potuto tornare a Verona per tenere un discorso il 25 aprile
perchè il sindaco Tosi della Lega Nord, che aveva vinto le
ultime elezioni comunali nettamente, favorendo per giunta l’accesso
al consiglio comunale di un esponente della Fiamma Tricolore, Andrea
Miglioranzi, noto per le sue simpatie neonaziste, non aveva concesso
la piazza richiesta dalle organizzazioni della sinistra per celebrare
la ricorrenza.
Non mi ero stupito di quel gesto, ma mi era
parso che l’atteggiamento del sindaco, che aveva qualificato
come “roba di archeologia” la celebrazione della
Liberazione, fosse un ulteriore stimolo che si forniva alla divisione
tra i veronesi e agli oltraggi continui alla costituzione
repubblicana e ai valori che essa difende.
Ora la scoperta
della violenza gratuita e programmata da parte di giovani di varie
classi sociali che hanno preso sul serio l’alleanza benedetta
dal sindaco tra la Lega (oggi di nuovo un partito di governo) e
l’estrema destra, dovrebbe indurre le forze responsabili dei
due schieramenti parlamentari a riflettere su quello che significa
quell’alleanza e quella visione del mondo.
Si tratta di
una visione che poggia sull’idea malsana di una patria razzista
e ostile verso chi non vi appartiene o è addirittura diverso
per idee e concezione del mondo, che perciò non è
legittimato né a calpestare il suolo cittadino né a
condividere tutto quel che spetta ai veronesi. E quando esponenti di
Alleanza nazionale come La Russa, futuro ministro, e Gasparri hanno
risposto all’allarme di Veltroni sulla situazione politica,
accusandolo di abbaiare alla luna o di parlare di cose inesistenti,
mi chiedo che cosa davvero divida quel partito da alleati elettorali
come la Fiamma Tricolore o Forza Nuova che hanno costituito peraltro
forze accolte a braccia aperte nel Popolo della libertà di
Silvio Berlusconi.
La verità è che quei
politici, e purtroppo anche esponenti dell’ex centro-sinistra
che, nei giorni scorsi, hanno definito inesistente e del tutto oramai
finito il pericolo di un ritorno al neofascismo di fronte ai saluti
fascisti e alle invocazioni a Mussolini la sera della clamorosa
vittoria che il 28 aprile scorso ha visto la vittoria a Roma di
Gianni Alemanno, parlano di una società che non esiste e non
si rendono conto dell’emergere in Italia, nel Veneto come a
Roma e in molte altre città della penisola, di forze
organizzate che si ispirano a una cultura fanatica e razzista, legata
a una violenza squadristica, pronta a realizzarsi prima contro gli
immigrati e subito dopo contro quegli italiani che la pensano
diversamente.
Eppure le violenze diffuse contro altri
italiani, oltre che contro gli extracomunitari, sono note per
inchieste giudiziarie che datano da alcuni anni. Magistrati come Cuno
Tarfusser a Bolzano e il procuratore capo di Verona Guido Papalia,
hanno segnalato da oltre un anno a questa parte aggressioni e
pestaggi gratuiti da parte di giovani del Veneto Fronte Skinheads che
hanno diciassette sedi nel Nord e migliaia di iscritti e che vedono
al loro interno iscritti di varie classi sociali che si muovo con la
violenza nei confronti di quelli che non appaiono “omologati”.
E Verona si distingue tra le città perché lì il
patto tra la Lega e l’estrema destra razzista è iscritta
dall’inizio nell’accordo politico ed elettorale che ha
portato alla carica di sindaco Flavio Tosi e che ne fa uno dei
possibili successori nei prossimi anni del presidente della regione
veneta Galan.
Eppure le leggi per perseguire le organizzazioni
di cui fanno parte gli aggressori degli ultimi episodi di violenza
nella città scaligera ci sono. Basta ricordare la legge
Mancino del giugno 1993 che detta «misure urgenti in materia di
discriminazione razziale, etnica e religiosa». In quella legge,
che inutilmente l’onorevole Fiore di Forza Nuova ha tentato di
far abrogare nella quindicesima legislatura, all’articolo 2 si
dice con chiarezza che «è vietata ogni organizzazione,
associazione,movimento o gruppo avente tra i propri scopi
l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi
etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni,
associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro
attività, è punito per il solo fatto della
partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione dai sei
mesi ai quattro anni».
Ci chiediamo, di fronte a quel
che sta accadendo, perché le forze dell’ordine e la
magistratura non siano ancora intervenute in maniera efficace e
tempestiva, possibilmente preventiva, nei confronti del Fronte Veneto
e di altri movimenti similari che da anni si muovono con la violenza
nel Nord Est e altrove.
Pubblicato
il: 06.05.08 L’Unità
Natural born nazi
Gianfranco Bettin
Hanno
allevato la bestia per anni, l'hanno nutrita di odio, aizzata con
parole e metafore, facendo i finti tonti sul nesso tra parole e
fatti, tra metafore e gesti. L'hanno allevata così, chiudendo
occhi e orecchi quando mordeva gli «altri». Ora che, a
morte, ha colpito «uno di noi», ora che la bestia è
uscita dal recinto in cui si poteva tollerarla e magari utilizzarla -
con le sue prepotenze, le sue aggressioni squadristiche, la sua
presunzione d'impunità - ora che sul «suolo natio»
ha sparso il «sangue nostro», nessuno la conosce più
come figlia propria.
Il retaggio di questa intima conoscenza,
tuttavia, si rivela, nitido, in molti commenti della destra veronese
e veneta, nel tentativo di ridurre l'aggressione omicida a ragazzata
finita male o a mera bravata di deficienti o a effetto di un vuoto di
valori. Cazzate, o, appunto, istintiva, se non cosciente, volontà
di sradicare l'accaduto dal suo autentico terreno di maturazione.
Questi giovani sono tutt'altro che vuoti di valori. Ne sono invece
pieni: danno valore alla forza, alla violenza celebrata e praticata,
all'onore che deriva dalla sua cameratesca condivisione, ai miti
pagani e/o cristiani o al ciarpame che gli spacciano per tali,
all'ordine gerarchico e allo spazio vitale di cui si sentono
guardiani. È una predicazione attiva quella di cui sono stati
bersaglio, a Verona come sulla scena nazionale, dove questi stessi
«valori» vengono correntemente spacciati e dove il
linguaggio delle armi «nostrane» e dello stigma da
imprimere agli «altri» è corrente, anche da
scranni istituzionali. Una predicazione che li ha raggiunti fin dai
primissimi anni, fino a fargli sentire come naturale e legittimo
questo modo di essere, certo rielaborato a modo proprio e portato
all'estremo, ma niente affatto alieno dal contesto. Alieni sono gli
altri, quelli da cacciare.
«Natural born nazi»,
checché ne dica Fini, che non vede in loro contenuti
ideologici e antisemiti e per questo sembra reputare più gravi
dei fatti di Verona quelli di Torino in cui sono state bruciate le
bandiere israeliana e americana. E nemmeno «deficienti»,
ma perfettamente integrati nella società locale: un bravo
pargolo di buona famiglia, un metalmeccanico, un promotore
finanziario, ad esempio, come quelli che hanno aggredito e ucciso
Nicola. C'è da scommettere che, a parte che erano nazistoidi,
e che andavano in curva con gli ultras veronesi, a parte che avevano
accumulato una ricca esperienza di violenze e prepotenze, a parte
questo, c'è da scommettere che per tutti erano dei «bravi
ragazzi» e che nessuno «l'avrebbe mai detto».
C'è
da stare sicuri che un sacco di gente sapeva benissimo che cosa
combinavano in curva a danno di immigrati e di avversari politici, e
che cosa poteva costare incrociarli nelle zone che consideravano
territori propri. Lo sapevano, ma non gli creava problemi. Non era
ancora morto nessuno, e per di più si trattava di vittime
«aliene». Non contavano.
Dicono, da destra, che
l'aggressione omicida non aveva contenuto politico: in un certo senso
è vero, ma ciò la rende ancora più inquietante.
Perché gratuita espressione di un puro odio cresciuto così
tanto da farsi indiscriminato: vomita addosso a chiunque il veleno
diffuso per anni nell'aria, e conferma l'antica terribile legge per
cui chi offende e perseguita i diversi, i deboli, gli «altri»,
prima o poi offenderà e perseguiterà tutti.
Dal Manifesto del 6.5.08
Quei bravi ragazzi a caccia del «diverso»
Quattro degli aggressori sono ultras, il quinto non va allo stadio e non fa politica. E sono tutti giovani «normali». Ecco l'identikit degli assassini di Nicola, e del sindaco leghista Tosi che partecipa ai cortei dell'estrema destra e prega per le «malefatte degli omosessuali»
Paola Bonatelli
Verona (Manifesto 5.5.08)
Si
è presentato in questura accompagnato dal suo avvocato e ha
raccontato il massacro. Frequenta il penultimo anno delle superiori -
ieri al liceo classico Maffei i suoi professori erano disperati,
qualcuno piangeva - Raffaele Dalle Donne, il diciannovenne veronese
che per primo ha ammesso di aver partecipato al pestaggio che nella
notte tra il 30 aprile e il primo maggio ha ucciso Nicola Tommasoli,
28 anni, disegnatore industriale, morto ieri senza mai essere uscito
dal coma. Nella notte tra domenica e lunedì gli investigatori
hanno fermato altri due ragazzi, Andrea Vesentini, 20 anni, e
Guglielmo Corsi, 19, mentre sono ricercati gli ultimi due componenti
del gruppo, probabilmente fuggiti in Austria, di cui si conoscono
solo i soprannomi, «Peri» e «Tarabuio». I tre
fermati si trovano nel carcere di Montorio a disposizione delle
autorità giudiziarie; il fermo per «lesioni gravissime»
sarà inevitabilmente trasformato nell'accusa di omicidio.
Racconta il dirigente della Digos Luciano Iaccarino, che con la sua
squadra e i carabinieri ha condotto le indagini: «Siamo andati
a casa di Dalle Donne sabato scorso. Il ragazzo, insieme a uno dei
due latitanti, faceva parte del gruppo dei 17 perquisiti e indagati
l'anno scorso, nell'ambito dell'inchiesta su alcuni pestaggi di
"diversi" avvenuti in centro. Non l'abbiamo trovato,
c'erano i suoi genitori. Domenica è venuto a costituirsi
accompagnato dal suo legale. Oltre all'accusa (associazione per
delinquere allo scopo di compiere aggressioni con l'aggravante della
legge Mancino, ndr) che gli pendeva sulla testa, aveva ricevuto la
sanzione di allontanamento dagli stadi per gli scontri durante una
partita Hellas-Genoa. In realtà quattro di loro sono ultras
dell'Hellas mentre Andrea Vesentini non va allo stadio né fa
politica, è solo amico di Guglielmo Corsi. C'è il
legame con la curva, dove qualcuno gli ha messo in mano una croce
celtica. Ma di politico c'è solo la patina, la vera droga è
l'amicizia, il branco, dove possono fare i duri. La partita, il bar,
la politica sono punti di aggregazione, dove purtroppo si fa
sottocultura. Sono fatti gravissimi che nascondono un disagio
enorme».
Gli stadi come vivaio dell'estrema destra,
sfruttando gioventù, ignoranza e testosterone. I giovani in
carcere non sembrano essere militanti di nessuna formazione - il
Veneto Front Skinhead ha già dichiarato la sua estraneità
a fatti e persone - mentre di Raffaele Dalle Donne si sa - secondo la
testimonianza di un familiare - che aveva rotto con Blocco
Studentesco, gli studenti legati alla destra radicale, e che stava
riprendendo il ritmo scolastico dopo un periodo di crisi. Se il suo
avvocato Roberto Bussinello - per inciso leader oltre che difensore
dell'estrema destra locale - la butta sulla «lite tra ragazzi
degenerata», il procuratore capo Guido Papalìa, titolare
dell'inchiesta dello scorso anno con 17 indagati, rilancia l'allarme
già espresso all'inizio dell'anno giudiziario: «A Verona
si verificano atti di matrice criminale con una deriva xenofoba che
coinvolgono giovani e giovanissimi. Non sono militanti di gruppi
neonazisti organizzati anche se praticano la stessa ideologia e usano
gli stessi simboli, sono aggregazioni motivate dalla violenza per la
violenza».
Sul
luogo dell'aggressione la gente in questi giorni ha deposto fiori e
lettere che parlano chiaro. Sono indirizzate al sindaco e alla città:
«Caro sindaco - si legge - ti ricordo che il tuo razzismo è
squadrismo che la superficialità culturale fa parte della tua
storia e di quelli che in questo luogo hanno dato prova di sè
e che queste persone sono generate da te, cara Verona», e
un'altra si riferisce alle dichiarazioni rilasciate da Tosi dopo
l'episodio di violenza: «No, non è uno su un milione
(così aveva detto il sindaco, ndr) è una delle tante
che ci feriscono il cuore e la coscienza in questa città».
Parole
pesanti come pietre. Come dimenticare, del resto, oltre alla scia
sanguinosa delle aggressioni neofasciste di questi anni, la
partecipazione di Tosi al corteo della destra radicale del 15
dicembre scorso - ma lui ci andava già nel 1999 - dopo il
quale ci fu la «caccia al terrone» e il pestaggio di tre
parà meridionali? Oppure la condanna sua e di cinque suoi
sodali - tra cui la sorella, attuale capogruppo della Lega in
consiglio comunale - per incitamento all'odio razziale e violazione
della legge Mancino per una campagna contro gli zingari, poi
tramutata in condanna per propaganda razzista e che prossimamente
tornerà alla corte d'appello di Venezia dopo l'intervento
della Cassazione? O ancora i suoi stretti legami con gli integralisti
cattolici, con cui si inginocchiava alle «messe riparatrici»
per le malefatte degli omosessuali? Ma soprattutto come dimenticare
che ha sdoganato i neonazisti, dal momento che l'ex skinhead Andrea
Miglioranzi, che suonava nel gruppo nazirock dei Gesta Bellica, è
il capogruppo della sua lista in consiglio comunale?
Verona nera
Da Ludwig a Pietro Maso
Fascisti - La città di Ordine nero e del grande spaccio di eroina
Ernesto Milanesi
Manifesto 5.5.08
La
proverbiale «pazzia» di Verona riesplode, puntuale, anche
dentro la cronaca nera. C'è Pietro Maso che il 17 aprile 1991,
con tre amici, a Montecchia di Crosara ammazza i genitori Antonio e
Rosa per l'eredità. Un caso emblematico, più ancora del
serial killer Gianfranco Stevanin che sotterra prostitute nei campi
di Terrazzo. Tuttavia la storia di Verona è contrassegnata da
un «filo nero» tutt'altro che invisibile nell'arco degli
ultimi decenni. La Bangkok d'Italia infestata dall'eroina negli anni
70 è stata crocevia dell'estremismo di destra in ogni
variante, che fuori e dentro lo stadio Bentegodi resterà
sempre vivo.
E' la Verona di Ordine nero con Elio Massagrande. Ma
soprattutto la «culla» della cieca violenza di Ludwig.
«La nostra fede è nazismo. La nostra giustizia è
morte. La nostra democrazia è sterminio». Così la
macabra rivendicazione a Repubblica nel maggio 1981 dopo il rogo alla
Torretta di Porta San Giorgio che costò la vita a Luca
Martinetti, 17 anni. Ludwig (che si firma Gott mit uns) dal 25 agosto
1977 fino al 4 gennaio 1984 lascia una lunga scia di sangue: 15 morti
e 39 feriti. Marco Furlan e Wolgang Abel ne sono i responsabili per
la giustizia, anche se ci sono altre 13 vittime.
Furlan e Abel
sono due ragazzi di buona famiglia che si ritrovano a piazza Vittorio
Veneto nel quartiere bene di Borgo Trento. Classe 1957 il figlio del
primario ospedaliero che otterrà il permesso per laurearsi in
fisica a Padova. Due anni più giovane il tedesco con il padre
ricco assicuratore e una frequentazione dei testi sacri del nazismo.
Li arrestano, insieme, il 4 marzo 1984 a Castiglione delle Stiviere
(Mantova) con una tanica di benzina in mano dentro la discoteca dove
centinaia di ragazzi festeggiano il carnevale. Sarebbe stata un'altra
strage firmata Ludwig.
La coppia debutta nell'estate 1977 con
l'omicidio del clochard Guerrino Spinello bruciato nella sua auto a
Verona. Poi tocca a Luciano Stevanato, cameriere gay bastonato a
morte a Padova. La mattanza continua principalmente in Veneto:
Claudio Costa, tossicodipendente, nel dicembre 1979 a Venezia; Alice
Baretta ex prostituta a Vicenza; i frati Gabriele Pigato e Giuseppe
Lovato uccisi a martellate a Monte Berico; don Armando Bison con un
punteruolo a Trento; infine, gli incendi di un cinema a luci rosse di
Milano e della discoteca di Monaco nel gennaio 1984. Poi ci sono le
«piccole» storie di ordinaria violenza che Verona ha
archiviato. Paradossale la cronaca che risale a maggio 1988: lungo il
listòn a due passi dall'Arena, Giacomo Tramacere (19 anni,
originario della provincia di Lecce) accoltella Gaetano Russo, 20
anni, napoletano. E' l'epilogo di una rissa scoppiata fra una banda
di paninari ed un gruppo di militari di leva. «Via, terroni,
fuori dal nostro bar!». Luglio 1989, a Cazzano di Tramigna ci
scappa il morto. Achille Catalani, 51 anni, maresciallo
dell'Aeronautica in servizio al comando Nato, viene aggredito e
strangolato da quattro veronesi Doc del paese vicino. La sua colpa?
Essere un «terrone» che chiedeva tranquillità al
gruppo che schiamazzava dopo aver bevuto.
Estate 1993,
Sommacampagna. Violenza d'altri tempi frutto del lavoro nero. La
«caporale» Norma Bonafini massacra di botte Ornella
Gardini che si piega nei campi insieme agli extracomunitari. Fu Nilde
Iotti a bollare duramente l'episodio: «E' evidente che la donna
che ha ucciso a botte una sua dipendente aveva una concezione di chi
lavora con lei di uno schiavo. Non può non essere che
l'immagine di una società in cui la violenza e il non rispetto
della dignità delle persone diventa sempre più grande».