Intervista a Giuseppe De Rita Il presidente del Censis: «A una società poltiglia una politica poltiglia e mezzo» (Manifesto 5.1.08)
Giuseppe
De Rita è certamente un sociologo di primo rango, ma - a mio
parere - è soprattutto un bravissimo giornalista. I titoli dei
rapporti del Censis (siamo arrivati al 41mo) sono sempre
straordinari. Il titolo di quest'anno è: «Poltiglia,
mucillagine, ignominia»; questa sarebbe, direi è,
l'Italia del 2007. E, debbo aggiungere, per De Rita questa non è
una diagnosi recente. Già nel 2002, nel suo volumetto «Il
regno inerme» (aspetto ancora, a meno che non mi sia sfuggita,
un'autocritica della Einaudi per i pasticci di impaginazione) già
denunciava la crisi delle istituzioni e il cosiddetto «tradimento
dei chierici». E, addirittura, il suicidio delle istituzioni.
«E' anzitutto in corso - scriveva De Rita - uno svuotamento
delle sedi classiche di partecipazione istituzionale ai vari livelli:
in pratica non esiste più la vita dei consigli comunali,
provinciali e regionali, ridotti a mere comparse dell'attività
e dell'attivismo personale del sindaco, del presidente della
provincia, del presidente-governatore delle regioni; e anche il
parlamento nazionale sacrifica la propria dialettica interna alla
spietata 'blindatura' dei provvedimenti di un governo teso a
dimostrare la sua incisività programmatica e
decisionale».
Vado a trovare Giuseppe De Rita nella bella
sede del Censis a piazza di Novella e diamo avvio alla
conversazione.
Se la società
è piuttosto «poltiglia», che succede nella sfera
della politica?
Oggi la politica è
il riflesso ingrandito della società. A una società
poltiglia, una politica poltiglia e mezzo. Oggi sono finiti, non ci
sono più i grandi brands politici: le ideologie, le classi, i
programmi, etc. Dai brands siamo passati ai brandelli, dai grandi
brands, i forti marchi identitari, a brandelli di identità. Il
comunismo, grande brand, dove sta oggi? In qualche brandellino di
Diliberto o di altri?
E il
manifesto?
Altro brandello,
coraggioso ma piuttosto consumato da trentasei anni di sconfitte.
Brandelli anche i cattolici democratici, che pure furono importanti.
Dove continua la loro storia? Con Casini, con Buttiglione, con
Pisanu, con la Bindi, con Prodi?
I
cattolici democratici sono stati una cosa seria.
Anche
i comunisti sono stati una cosa seria, ma perché c'è
stata questa generale «brandellizzazione»? Perché
- a mio parere - una società a coriandoli rifiuta di
unificarsi (e dividersi) secondo grandi brands. La società
impone alla politica il trionfo del particulare sul generale. Non c'è
più nella società quella chimica interna che produceva
grandi scelte di campo.
Scusa,
quando tu dai un ruolo serio ai comunisti e ai cattolici democratici
mi riproponi il problema del compromesso storico. Che finì
male. Però era un tentativo serio. Il tuo parere?
Sai,
io vengo dalla parte di Franco Rodano.
Di
tutto questo tratta molto bene il libro di Giuseppe Chiarante «Con
Togliatti e con Berlinguer» appena uscito.
Non
sono un politico di professione però contavo molto
sull'incontro tra i due grandi partiti di massa, Dc e Pci. Il guaio è
che il compromesso storico, che nasceva dalla cultura tomista di
Franco Rodano e da quella diciamo lapiriana di Dossetti, è
stato gestito da Giulio Andreotti, e dagli incontri tra Di Giulio e
Evangelisti. Ti pare che il compromesso storico con questa gestione
sarebbe potuto arrivare in porto? E adesso siamo arrivati
all'incontro tra i residui dei due grandi partiti di massa gestito,
almeno per ora, da Walter Veltroni.
Ma
sono solo queste, di gestione, le ragioni del fallimento del
compromesso storico? Anche Togliatti, con il discorso di Bergamo, ci
aveva puntato.
Ha pesato, e non poco,
la mancanza nella Dc di una cultura progettuale. La cultura della Dc,
che ha agito sullo sviluppo dell'economia e della società
italiana, è stata - come diceva Andreatta - quella della
condiscendenza di un (forse) saggio «lasciar fare».
Questa linea si scontrava (e forse per questo il compromesso storico
è fallito) con quella della progettualità, della
programmazione, che non era solo dei comunisti, ma anche di soggetti
come Pasquale Saraceno e Giorgio Ruffolo, che non erano affatto
comunisti.
Certo, avevo un buon
rapporto con Saraceno e ricordo i convegni di San Pellegrino e altri.
C'era un progettualismo da parte dei cattolici democratici e dei
socialisti (Ruffolo, Giolitti, etc), tuttavia il compromesso storico
fallì, finì in coda di pesce: monocolore Andreotti con
l'astensione del Pci e poi - ancora peggio per la sinistra - con i
governi di solidarietà nazionale.
Non
c'era osmosi, solo accompagnamento. Quando io parlo di mucillagine mi
riferisco a soggetti che vivono accanto, ma non comunicano, non si
integrano. Così è stato per questo famoso e fallito
compromesso storico.
Ma qui torna
d'attualità, lo segnalava Di Vico sul Corsera, «Il regno
inerme» al quale mi riferivo all'inizio.
Forse
è la cosa più bellina che io abbia scritto, ma poiché
non sono un giornalista non ha avuto successo di recensione al
contrario di quel che accade quando un libro lo scrive uno di voi
giornalisti.
In tutto questo
disastro però tu riponi speranze nelle minoranze. Spiegami
quali e perché.
Vedi, dalle
mie osservazioni sulle cose d'Italia, ho rilevato che ci sono
minoranze, piccole galassie, che assumono un target, e su quello
insistono, lavorano. Minoranze - dico io - con una coscienza stretta,
molto diversamente da chi procede con un'opinione larga. E questo lo
puoi vedere in tre mondi del tutto diversi: lo vedi nella galassia
radicale.
Qual è la
galassia radicale?
La galassia di
Nessuno tocchi Caino. Non raggiungeranno mai l'1,5% dei voti, ma ci
sono. Poi, più importante, c'è la galassia religiosa.
Non è la Chiesa di Papa Ratzinger sopra la piramide che scende
verso il popolo, ma sono i pentecostali, parrocchiani, catecumeni.
Ratzinger scrive libri, non governa. Insomma una galassia di
minoranze. E poi i raggruppamenti che agiscono nel settore dei beni
culturali: il Fai e anche Civita. Insomma in ogni settore c'è
una minoranza che impone una riflessione diversa. Vale ancora
l'esempio che Aldo Grasso faceva per la televisione. La poltiglia è
dominante, straborda, ma poi c'è l'ora di Benigni, le
Invasioni barbariche. Minoranze fertili.
Ma
cosa possiamo aspettarci da queste minoranze?
Queste
minoranze sono importanti perché alimentano le nostre
speranze, ci danno la forza della speranza. Queste minoranze, sia
chiaro, non diventeranno mai maggioranze egemoni. Nel momento in cui
tentassero di diventare maggioranze, si ridurrebbero a
mucillagini.
Dobbiamo dire che
attraversiamo una fase che non consente crescita e che le minoranze
positive sono solo speranze, possibile lievito di una nuova stagione,
non prossima?
La situazione è
questa. Avremo ancora anni difficili. Non siamo alla conclusione
della crisi. Anche il quadro internazionale (come ci aggiusteremo con
Cina e India e di fronte a una perdita di egemonia degli Usa?) non è
chiaro, ma non siamo alla fine del mondo, abbiamo subìto crisi
ancora più pesanti. Alla fine ne usciremo, ma a condizione di
prendere atto della gravità dell'attuale crisi. Chiudere gli
occhi e tapparsi le orecchie sarebbe suicida.
Bene,
però in tutta questa poltiglia ci sarebbero, tu dici, dei big
players. Chi sono?
C'è un
cambiamento rispetto a qualche anno fa. Profumo è un big
player.
Ma questi big players
stanno solo nelle banche?
No, anche
nelle imprese, penso a Scaroni dell'Eni, ma anche a persone come
Della Valle nelle medie imprese. Hanno un ruolo a livello
mondiale.
Ma questi benedetti big
players nascono dal nulla?
Provo a
spiegarmi meglio, vorrei scriverci un libro. Nella nostra gioventù
il paradigma economico si caratterizzava per la presenza di grandi
imprese (Fiat, Edison, Montecatini, Pirelli, etc.). Nel corso degli
ultimi anni c'è stata una emersione al sommerso, alla piccola
impresa, ai cespugli, alla media impresa e in questo processo sono
cresciuti i nuovi big players. In un paradigma economico nuovo e
fondamentalmente positivo, che ha radici ed è cresciuto dal
basso. Per concludere dico che il paradigma economico ha una radice
buona mentre il paradigma socioplitico non ha una radice buona perché
non ha voluto, o non ha potuto, ripartire dal basso: è fatto
delle rovine residue del passato. E qui ci sono le responsabilità
di Craxi.
Nel rapporto usi una
espressione piuttosto dura: ignominia intellettuale. A cosa ti
riferisci? Che significa?
E' la
cultura di massa senza alcun contenuto. Basta stare un po' attenti e
lo vedi dappertutto: in politica, nella Tv, nei giornali.