Il patto europeo per l'immigrazione e il diritto d'asilo
Vittorio
Nozza
Direttore nazionale di Caritas Italia
Restrizioni,
ostacoli, barriere. Sono i segnali che arrivano dal Parlamento
europeo e dal patto per l'immigrazione e il diritto d'asilo che
dovrebbe essere adottato dal vertice europeo dei capi di Stato e di
Governo del prossimo 15 ottobre. Con possibili eccezioni e corsie
preferenziali per i lavoratori altamente specializzati. Un giro di
vite anche in Italia sui ricongiungimenti e per i richiedenti asilo.
Tolleranza zero contro gli irregolari, ma anche qui con eccezioni in
base alle nostre convenienze. Tendenze che non meravigliano in questo
primo segmento del terzo millennio in cui c'è sempre meno
memoria e scarsa speranza. In cui la vita è sempre più
"usa e getta", più che curata e
vissuta. Con i deboli e i poveri costretti a pagare
due volte.
Le recenti parole del Papa, di compassione per le
tragedie nelle quali si concludono i tentativi degli immigrati di
approdare alle nostre coste e di appello ai Paesi occidentali
affinché mettano in atto politiche di soccorso, sono però
un invito a valutare criticamente le scelte che criminalizzano
l'immigrazione indesiderata. Parole che devono interrogarci sulle
contraddizioni delle politiche di chiusura delle frontiere e sulla
necessità di prestare al fenomeno migratorio una maggiore e
più qualificata attenzione e progettualità.
Le
migrazioni mettono a nudo principalmente due problemi: la
giustizia distributiva e la giustizia politica. Circa il primo
problema è palese che la povertà, il sottosviluppo e la
disperazione di molte persone sono drammatici. Spesso queste
situazioni portano le persone ad intraprendere rischiosi viaggi verso
l'Europa, che per molti finisce con la morte. L'unica soluzione, a
questa che è una vera tragedia umanitaria, è che i
Paesi del primo mondo adottino politiche globali di giustizia
redistributiva.
L'appello del Papa all'Europa affinché
accolga gli irregolari pone un secondo problema di giustizia
politica. Cioè la capacità di parlare e operare di
impasto tra dignità e giustizia. E qui la ricerca del bene
comune, cioè la politica, deve fare la sua parte, riaffermando
il primato della persona umana. La politica infatti è
creazione di opinioni non tenute al guinzaglio dell'opinione
corrente; è capacità e coraggio di influire sul
giudizio politico dei cittadini; è azione capace di operare
affinché si determinino cambiamenti nell'opinione pubblica
imperante.
Intristisce quando, dal mondo politico, arrivano
segnali contrari che - per mitigare le frustrazioni di chi vede
riflesse nell'altro, nel diverso le proprie insicurezze - alimentano
un clima di paura e di intolleranza. Tanto che nella dimensione
locale del vivere si accentuano tendenze di chiusura
autarchica e di arroccamento sociale. Le solidarietà si
accorciano sempre più, mentre si moltiplicano affermazioni,
intenzioni e decisioni che incrementano l'orientamento ad attuare una
sorta di principio di indesiderabilità per chi bussa alla
porta e di riconduzione generalizzata dell'immigrazione alla
questione sicurezza. Gli orientamenti corrono il rischio di essere
oscurati da questa logica emergenziale, mentre alcune questioni di
fondo attendono di essere definite in un quadro limpido di
solidarietà e di legalità.
È giusto infatti
chiedere alla politica l'indicazione di un progetto fondato
sull'equilibrio tra diritti e doveri, tra sicurezza e integrazione,
che produca provvedimenti idonei ad affrontare i diversi profili di
una questione che chiama in causa valori profondi del nostro modo
d'essere e di rapportarci agli altri. La stessa Commissione europea
ha definito l'integrazione come un processo continuativo e a doppio
senso, basato su diritti e doveri che gravano tanto sugli immigrati
che sulla società di accoglienza. Senza contare che ormai
tutti parlano di un'Europa dei popoli, sia chi vorrebbe vedere
accresciuto il peso dei popoli rispetto ai Governi, sia chi sostiene
invece chiusure xenofobe e ritiene che essere popolo significhi avere
un'eredità comune impermeabile ad ogni apporto esterno.
Al
riguardo ci si deve interrogare circa i cambiamenti culturali in
atto. È evidente che il solo appello - pur necessario - ai
valori presenti nella cultura istituzionale e nel diritto
internazionale (si prenda il caso dell'asilo) non sono più
considerati valori comuni. Esistono più voci,
nell'informazione, nella cultura, nelle forze politiche, che spingono
a forme più o meno raffinate, di diffidenza, intolleranza,
contrasto, violenza. È urgente pertanto una rinnovata tensione
e azione pedagogica. In quest'ottica deve essere chiaro che quando la
Chiesa predica i valori di rispetto della dignità,
solidarietà, condivisione tra i popoli, di incontro tra le
culture e le religioni non fa battaglie politiche ma - a partire dai
principi evangelici e dall'azione che dispiega giorno per giorno -
precisa solo i presupposti sui quali la politica deve costruire. Si
tratta di un contributo morale, culturale, di esperienza, di
disponibilità del quale, a nostro avviso, la politica ha
bisogno.
(©L'Osservatore
Romano 27 settembre 2008)